domenica 19 ottobre 2014

domenica 20 luglio 2014

Gli albori del Carnevale di Termini Imerese La "Società del Carnovale"

 Una delle quattro ricevute della Società del Carnovale, datate 1876. (foto e proprietà F. La Mantia)
 
 Una delle quattro ricevute della Società del Carnovale, datate 1876. (foto e proprietà F. La Mantia)
 
 Una delle quattro ricevute della Società del Carnovale, datate 1876. (foto e proprietà F. La Mantia)
 
 Una delle quattro ricevute della Società del Carnovale, datate 1876. (foto e proprietà F. La Mantia)
 
 
 
Gli albori del Carnevale di Termini Imerese La "Società del Carnovale"
 A dodici anni dalla scoperta delle quattro ricevute di pagamento (con una quota mensile di lire una) rilasciate rispettivamente nei mesi: gennaio, febbraio, marzo, aprile e maggio dell’anno 1876, dalla “Società del Carnovale” al termitano Giuseppe Patiri, studioso di tradizioni popolari, viene confermata l’esistenza di un Comitato per la organizzazione della manifestazione folkloristica che operò, con alterne vicende, almeno sino al 1911. La più antica documentazione sul Carnevale termitano risale alla seconda metà del XIX sec; ciò è stato confermato dall’importante rinvenimento delle quattro ricevute di pagamento: gennaio-febbraio, marzo, aprile e maggio (1876) e rilasciate dalla “Società del Carnovale” a Giuseppe Patiri (1846-1917) paletnologo, studioso di storia locale e di tradizioni popolari. I documenti furono fortunosamente scoperti alla fine del 1997 dallo scrivente, durante la laboriosa ricerca storica sul Carnevale, tra le innumerevoli testimonianze di storia locale raccolte in casa del noto collezionista Francesco La Mantia, che mi onora della sua fraterna amicizia. Il più antico certificato (gennaio-febbraio 1876) fu reso noto al grande pubblico, per la prima volta in assoluto, durante il vernissage del 11 febbraio 1998, in occasione di un’esaustiva mostra dal titolo: “Un Carnevale antico”, curata dallo scrivente, patrocinatore l’allora presidente della Pro Loco di Termini Imerese, Gaetano Schifano. La rassegna riunì un nutrito corpus documentario costituito da: immagini fotografiche e filmati che abbracciarono ininterrottamente un lungo arco di tempo compreso fra il 1950 e il 1990. L’esposizione fu allestita presso gli ampi ed eleganti saloni del Circolo Margherita a Termini Imerese, prospettanti sulla centralissima Piazza Duomo. Una rassegna delle immagini più rappresentative facenti parte di questa mostra fu anche inserita nell’esposizione svoltasi nei locali del Museo Civico Baldassare Romano dal 14 al 24 febbraio dello stesso anno. La mostra, “Maschere e mascheramenti in Sicilia dal ‘600 ad oggi”, fu fortemente voluta e magistralmente curata dalla professoressa Rosa Maria Dentici Buccellato, allora Assessore alla Cultura del Comune di Termini Imerese. Posto d’onore fu conferito al certificato rilasciato il 1° gennaio 1876. La data di emissione, cioè il Capodanno del 1876, induce a ritenere che la “Società del Carnovale”, doveva esistere almeno già nell’anno precedente, cioè nel 1875. Il grande pubblico riconobbe unanimamente il notevole valore del documento nella storia dell’antico Carnevale della cittadina imerese. La denominazione “La Società del Carnovale”, conferma quindi l’esistenza di un’associazione per la promozione e l’organizzazione del Carnevale di Termini Imerese. Allo stato attuale delle ricerche non siamo a conoscenza delle vicissitudini di questa benemerita Società. A tal proposito mi preme sottolineare, qui, per la prima volta, che detta Associazione nel 1906 era ancora in auge e manteneva l’originario epiteto di “Società del Carnovale”, che campeggia nel programma delle manifestazioni carnascialesche tenutesi proprio in quell’anno. I festeggiamenti carnevaleschi ebbero un duplice proposito: oltre al divertimento anche l’elargizione di sostanziosi aiuti pecuniari. Infatti, con i ricavati del Carnevale del 1906 si poté realizzare il grande salone dormitorio dell’Ospizio di Mendicità “Umberto I”. La lapide posta sul prospetto di quest’ex edificio riporta la seguente iscrizione: “COL CONTRIBUTO DELLA CARITA’ CITTADINA / IL COMITATO DEL CARNEVALE / NE AMPLIO’ I LOCALI / DAL 1904 AL 1907 / MOSTRANDO / COME ACCOPPIAR SI POSSA / ALLA BENEFICENZA IL DILETTO”. Non è chiaro quale ruolo avesse, all’interno della “Società”, lo storico Giuseppe Patiri, ma lascia pensare parecchio la prossimità tra la sua data di morte (1917) e l’anno di inaugurazione del dormitorio dell’ospizio comunale di mendicità (1911). La figura del Nannu è unanimemente considerata la personificazione dello stesso Carnevale e rappresenta la maschera principale, che, ignara del suo destino, è sottoposta, alla mezzanotte dell’ultimo martedì grasso, al rituale del rogo. Ovverosia l‘evento propiziatorio in retaggio di un antico rito pagano. Il Nannu di Termini Imerese è rappresentato sotto forma di un simpatico vecchietto arzillo dal carattere gioviale. Veste una giacca damascata, panciotto, calzoni, scarpe e bastone da passeggio come in uso nella piccola borghesia locale. Il vegliardo, acclamato dalla folla, risponde allegramente e, talvolta, saluta cordialmente agitando in mano un fazzoletto oppure mostra alla folla dei bei rossicci ravanelli o una pianta di finocchio, oppure una corda di salcicce. L’etnologo siciliano Giuseppe Pitrè (1841-1916), nella sua opera “Usi e costumi, credenze e pregiudizi del popolo ebbe così a scrivere sul personaggio del Nannu: “…Ordinariamente lo si immagina e rappresenta come un vecchio fantoccio di cenci, goffo ed allegro; vestito dal capo ai piedi con berretto, collare e cravattone, soprabito, panciotto, brache, scarpe. Lo si adagia ad una seggiola con le mani in croce sul ventre, innanzi le case, ad un balcone, ad una finestra, appoggiato ad una ringhiera, affacciato ad una loggia; ovvero lo si mena attorno. Più comunemente è una maschera vivente, che sur un carro, sur un asino, una scala, una sedia, va in giro accompagnato e seguito dal popolino, che sbraita, urla, fischia prendendosi a gomitate…”. La maschera della Nanna, che oggi sopravvive solo a Termini Imerese, era un tempo presente anche a Palermo. La suddetta maschera termitana ha la caratteristica peculiare di essere unica nel contesto carnascialesco siciliano. Questa figura, vera e propria alter ego femminile del Nannu, potrebbe avere un legame con antichi culti legati alla fertilità. Questa interpretazione sembrerebbe, per certi versi, essere confermata da quanto ebbe a scrivere il Pitrè, il quale, infatti, associa la figura della Nanna alla presenza di un ulteriore personaggio carnevalesco, un infante che la donna reca in braccio. La Nanna di Termini Imerese è rappresentata sotto forma di una vecchia alta e magra che porta in testa un ampio cappello e indossa una rossa veste con motivi ricamati. In compagnia del Nannu, nella sfilata, muove con la mano un grande fiore… un bel broccolo intrecciato con coloratissimi ravanelli dategli in segno di benevolenza dallo stesso Nannu. Essa accompagna sempre il Nannu durante le cerimonie carnascialesche. Diverse sono le opinioni sulla rilevanza e originalità di questo dualismo Nannu – Nanna. Il Pitrè ritiene la Nanna una figura affiancata a quella del Nannu solo in tempi relativamente recenti: “…non è raro l’avvenirsi in un’altra maschera di donna, con un bambino in fasce, a cui imbocchi della pappa. In questo bambino bisogna riconoscere il figlio del Nannu, e nella donna la moglie del Nannu, ma sono dei fatti isolati, capricciosi e non tradizionali…”. Ed egli, infine, conclude scrivendo “…e come han creato una Nanna, moglie del Nannu, creazione di cattivo gusto, che in Sicilia non ha nessun fondamento…”. Di tutt’altro parere è Paolo Toschi (1893-1974) nel suo libro “Le origini del teatro italiano” (edito a Torino nel 1955) che, invece, rimarca la diffusione in ambito nazionale del personaggio femminile affiancante il Nannu. Vale la pena di riportare quanto egli scrisse in proposito: “…Ma, in Sicilia, non dobbiamo trascurare, accanto alla figura del Nannu, quella della Nanna, moglie del Carnevale, col relativo bambino in fasce: ancora nel 1870 il programma delle feste della Società del Carnevale di Palermo si apriva con questo numero: «Primo giorno. Sabato 7 febbraio. Arrivo del Nannu. Alle dodici la Nanna si recherà in gran pompa per il Corso Vittorio Emanuele all’incontro del Nannu. Indi entrata trionfale di Porta Felice: apertura della Gran Beneficiata popolare presieduta dal Nannu e dalla Nanna». Un simile personaggio femminile esisteva, secondo il Pitrè, anche in Sardegna. L’amico lettore ci perdoni questa lunga rassegna di brutte vecchie male odoranti di cipolle e baccalà. Ma essa era necessaria per diverse ragioni. Moglie, antagonista o alter ego femminile del Carnevale, la Vecchia ha importanza non minore del Carnevale stesso…”. Infine, il Toschi così riporta in una nota a piè di pagina: “Il Pitrè riteneva la figura della Nanna come innovazione recente e fatto isolato, non tradizionale, ma forse in questo caso sbagliava, perché l’uso si presenta su vasta area”. Resta, quindi, ancora da sviscerare nel suo complesso substrato etnoantropologico, l’origine e l’estensione areale del dualismo Nannu-Nanna nel Carnevale italiano. Unica sopravvivenza siciliana della Nanna, rimane, senza ombra di dubbio, quella del Carnevale di Termini Imerese. Quest’ultimo, acquisisce una fisionomia e una struttura organizzativa almeno dal 1876. Inizia dalla scoperta del sopracitato reperto cartaceo ritrovato, la storia tangibile del Carnevale di Termini Imerese, Le altre vicende, reali o probabili, che avremo modo di approfondire in futuro, non fanno altro che da ornamento a questa straordinaria scoperta e alla fantasmagorica cerimonia di apertura che accompagna la stagione carnevalesca.
                                                               Giuseppe Longo
 G.Longo, 2010 -Gli albori del Carnevale di Termini Imerese La "Società del Carnovale"- Sicilia Tempo anno XLVIII n.470 gennaio-febbraio, 22-23.

 
 
 
 
 
 

domenica 13 luglio 2014

Quanto durerà ancora l’abbandono di Santa Marina “la Nova” di Termini Imerese?

chiesa di Santa Marina “la Nova” Termini Imerese
http://www.gdmed.it/paginaNotizia.php?idNotiziaDaAprire=14003


Quanto durerà ancora l’abbandono di Santa Marina “la Nova” di Termini Imerese?


Recentemente, sulla testata giornalistica “Madonie Live”, abbiamo posto nuovamente l’accento sull’urgenza del recupero architettonico relativo alla chiesetta di Santa Marina “La Nuova” in contrada Bragone, nell’agro di Termini Imerese. Rammentiamo ai lettori che già nel lontano 1997 era stata posta l’impellenza del recupero dell’immobile ecclesiastico che già allora risultava in fase di degrado, avendo ormai perso parte della copertura, con conseguenti infiltrazioni di acque piovane.   Calogero Morreale, nel suo articolo intitolato «Rischia di crollare a Termini una chiesetta del ‘500», pubblicato nel quotidiano regionale “Giornale di Sicilia” in data 7 ottobre 1997, metteva in luce l’urgenza della salvaguardia dell’importante opera architettonica, ma tutto tacque inesorabilmente.  L’articolo in questione raccoglieva delle notizie, alcune delle quali inesatte dal punto di vista storico. Infatti, la chiesa non può essere designata con il termine “la Vecchia”, non essendo quella originariamente sorta nella contrada, bensì con la denominazione de “la Nova”. Essa, infatti, sorse in sostituzione dell’originario oratorio e fu, a sua volta, soppiantata dall’altra attuale chiesetta, sorta sul colle di Patara (S. Marina “la Novissima”).    Gli anni si sono avvicendati (siamo arrivati alla quota di sedici anni!) e nel silenzio generale, che suona come una sorta di oblio, mentre l’immobile ecclesiastico ha definitivamente perso la rimanente parte del tetto, per l’incuria del tempo, ma soprattutto per l’indifferenza totale delle autorità preposte che, almeno sulla carta, hanno l’obbligo della salvaguardia dei beni artistici, architettonici e ambientali. Non ci resta che rinnovare per l’ennesima volta il nostro accorato (e sconfortato) appello che rivolgiamo, in particolar modo, alle locali Istituzioni civili, religiose e alle Associazioni culturali, in particolare quelle preposte alla tutela e la valorizzazione dei Beni Storico-Artistici. Il piccolo edificio religioso ad aula, ubicato in un fondo privato a circa tre chilometri dal Ponte di ferro della S.S. 113, sul San Leonardo, necessita un tempestivo intervento di manutenzione (a causa della copertura lignea crollata) per impedire che le intemperie, possano rovinosamente aggredire ciò che ormai rimane dei dipinti e delle decorazioni murali interne. La peculiare immagine che merita un immediato recupero è il pregevole dipinto raffigurante la “Madonna del latte”, di autore ignoto, posto sulla parete sinistra (entrando) dell’ambiente ormai suo malgrado divenuto a cielo aperto. Auspichiamo che il silenzio pluridecennale da parte delle autorità competenti, che avvolge questo edificio ecclesiastico, importante tassello della storia di Termini Imerese, sia finalmente rotto, prima che il degrado ne cancelli le vestigia.
Giuseppe Longo




Salviamo la chiesa di Santa Marina 'La Nuova'

chiesa di Santa Marina 'La Nuova'
http://archivio.madonielive.com/news/show/20089


Salviamo la chiesa di Santa Marina “La Nuova”
Pongo nuovamente l’attenzione a un argomento trattato dallo scrivente lo scorso 2011 in questa Testata giornalistica: il recupero architettonico della chiesetta campestre di Santa Marina “La Nuova” in Termini Imerese. L’appello che ripresento è rivolto in particolar modo alle locali Istituzioni civili, religiose e alle Associazioni culturali, in particolare quelle preposte alla tutela e la valorizzazione dei Beni Storico-Artistici. Il piccolo edificio religioso ad aula è ubicato in contrada Santa Marina (Bragone) in un fondo privato a circa tre chilometri dal Ponte di ferro della S.S. 113, sul San Leonardo. La chiesetta necessita un tempestivo intervento di manutenzione (a causa della copertura lignea crollata) per impedire che le intemperie, possano rovinosamente aggredire quelle che rimangono dei dipinti e delle decorazioni murali posti all’interno, lungo le strutture murarie perimetrali. La peculiare immagine che merita un immediato recupero è il pregevole dipinto raffigurante la “Madonna del latte” di autore ignoto posto sulla parete sinistra (entrando) dell’ambiente a cielo aperto. Per ulteriori approfondimenti si vedano gli articoli dello scrivente, su questa testata, riguardanti la storia e il culto di Santa Marina Vergine di Scanio.
Giuseppe Longo

I ruderi della chiesetta campestre di Santa Marina La Nova

I ruderi della chiesetta campestre di Santa Marina La Nova
http://www.madonielive.com/index.php/news/load/10585

I ruderi della chiesetta campestre di Santa Marina La Nova


I resti dell’’antica chiesetta campestre di Santa Marina “La Nuova” si individuano in contrada Bragone, a Termini Imerese, sull’antica via Consolare. La piccola costruzione religiosa distante circa tre chilometri dalla rotabile 113, lungo il percorso Termini Imerese-Trabia, fu oggetto di attenzione di storici e studiosi del XVIII e XIX secolo. Al giorno d’oggi la chiesetta si presenta in un totale stato di abbandono ed è ormai improrogabile un’azione di salvaguardia (restauro conservativo). In mancanza di tale intervento, il deterioramento ulteriore delle strutture porterà alla rovina totale del piccolo edificio.  Infatti, l’originario tetto che sovrastava il luogo di culto è ormai crollato, gli agenti atmosferici, quali le infiltrazioni di umidità causate dalle piogge e le crepe ai muri perimetrali stanno danneggiando irrimediabilmente quello che rimane delle decorazioni murali. Il degrado colpirebbe anche l’interessante cornice ad incasso, al di sopra dell’altare che conservava verosimilmente un dipinto di Santa Marina e la interessante pittura posta sul lato sinistro della parete interna, ritraente l’immagine della Madonna del Latte, in origine associata ad altre rappresentazioni pittoriche purtroppo scomparse e già menzionate dal sac. Gioacchino Errante nella sua opera a stampa “Delle Azzioni Eroiche, Virtù Ammirabili, Vita, Morte e miracoli del B.Agostino Novello Terminese” Messina 1713. Quello che rimane dell’edificio religioso di Santa Marina La Nuova, opera evidente della pietas popolare termitana, non può cadere nell’oblio assoluto, pertanto, facciamo un appello alle autorità preposte alla salvaguardia affinché arrestino il degrado di questo edificio sacro e salvaguardino un altro pregnante esempio della grande devozione del popolo siciliano. Ci auguriamo che questa chiesetta possa essere risanata, valorizzata e resa fruibile alla comunità tutta. Sarebbe auspicabile l’inserimento di Santa Marina La Nuova all’interno di uno specifico circuito turistico chiesastico.
 
                                                                                                                                    Giuseppe Longo

Santa Marina "La Nuova" in Termini Imerese

Santa Marina "La Nuova" in Termini Imerese
http://archivio.madonielive.com/news/show/10155


La chiesetta di Santa Marina (La Nuova) oramai, in rovina sorge nella contrada "Bragone", chiamata nella parlata locale "U brauni", una località a circa tre chilometri dalla città di Termini Imerese. La modesta chiesetta campestre è posta su un fondo privato, in un pianoro sottostante il monte Lignari e attraversata dalla via Consolare, ovvero l'antica carrozzabile che collegava Termini con il capoluogo siciliano. L'edificio religioso dista circa un chilometro dall'omonima chiesetta di Santa Marina La Novissima, quest'ultima costruita agli inizi dell'Ottocento e nella quale attualmente la Santa è venerata e commemorata annualmente con una fastosa manifestazione la prima domenica di settembre. Durante le mie ricerche storiche con grande sorpresa ho scoperto che la ubicazione della chiesuola campestre di Santa Marina La Nuova nelle adiacenze del territorio termitano fu indicata in un primo momento, pur concisamente dal sac. don Gioacchino Errante, nella sua opera a stampa "Delle Azzioni Eroiche, Virtù Ammirabili, Vita, Morte e miracoli del B.Agostino Novello Terminese" Messina 1713. L'Errante così scrisse: "Nella Chiesa filiale ancora il quadro della Cappella del B. rappresenta la sua SS morte. E fin nell'altar maggiore della Madonna SS. della Trabia (Chiesa, che è nel distretto, e nel territorio di Termini; di molta devozione e concorso di popolo, e confinate colla Trabia: come pure nel distretto dell'isteso territorio di Termini sopra della Trabia, dentro terra meno di due miglia, nella contrada dello Bragone, vicino a Scanio, Castelletto antico, e diroccato, che oggi chiamano Castellazzo, vi è una Chiesetta di Santa Marina Verg. Terminesa di devozione, e cocorso del popolo a fianchi della Imag. Della SS. Verg. vi è ancora la Imagine del B. Agostino vestito Agostiniano". L'Errante avanzò l'ipotesi identificativa che vede nel luogo denominato Castellazzo in contrada Bragone, il sito di Scanio. Le ipotesi dell'Errante furono riprese in parte dallo storico termitano Baldassare Romano (1794-1857) nel suo opuscolo più volte ristampato "Vita di Santa Marina Vergine Siciliana", edito nel 1842. Il Romano così riferì: "...Or sulla fine della dominazione degli Arabi, e cominciando il governo del gran Conte Ruggiero, visse la santa verginella Marina siciliana. Venne essa la mondo verso gli anni 1036 dell'era volgare in un oscuro borgo che appellavasi Scanio: epperò non è da confondersi con altre sante del medesimo nome. Tal borgo è oggi interamente distrutto, e nessun altro scrittore abbiamo che lo ricordi: ne ciò dee recar meraviglia, poichè le moltissime terre per ogni dove son venute affatto in oblio. Ma in Termini è tradizione antichissima che Scanio esisteva sulla montagnola nominata Patàra, quasi un miglio lungi della città ad occidente. Ivi ha la campagna portato il nome di Scanio; ivi si vedevano alcuni avanzi di antiche fabbriche fino al principio del secolo scorso; ivi fu eretta in quel tempo una chiesuola alla Santa, e un'altra assai prima, nel sedicesimo secolo sen'era edificata di là poco discosta, le quali tuttavia decorosamente sussistono...". Il Romano quindi è del parere che nelle immediate vicinanze della chiesetta in questione sorgesse un preesistente oratorio: Santa Marina La Vecchia, del quale sussisteva ancora qualche vestigia. Alle notizie precedentemente riportate, il Romano fa seguire alcune puntualizzazioni che ci piace riportare qui di seguito: "...Dopo secoli che il popolo si adunava nella prima di esse, nel 1730 sperando di trovare le sacre ossa nel colle detto di Scanio, segnatamente in mezzo alle vestigia d'alcuni rovinati edifizi che ancor si vedeano, fu chiesto al Vicario capitolare della diocesi il permesso di farne ricerca. Il quale prescrisse che con un digiuno di tre giorni ed una solenne processione di penitenza si disponessero i cuori dei cittadini a divoti affetti, e si mettesse indi mano al lavoro. Tutto eseguito con un religioso raccoglimento, scavata la terra, frugate le antiche fabbriche per più giorni, non furon le desiate reliquie rinvenute...". Nel 1741, il papa Benedetto XIV, su richiesta del popolo termitano, concesse il 16 giugno l'indulgenza plenaria settennale ai fedeli che avrebbero compiuto la devozione di visitare la detta chiesa nell'ultima domenica di maggio.
                                                                                                                                    Giuseppe Longo

Santa Marina di Scanio

Santa Marina di Scanio
http://archivio.madonielive.com/news/show/10105


Santa Marina di Scanio

La patria di Santa Marina di Scanio è tutt’oggi discussa: alcuni la rivendicano a Castell’Umberto (ME) altri a Termini Imerese, cittadina in provincia di Palermo. Le fonti non ci trasmettono il nome secolare di Santa Marina che nacque a Scanio nell’anno 1036. La giovane fanciulla apparteneva all’agiata e autorevole famiglia dei “Pandariti” che abitavano nel piccolo borgo. Fin dalla fanciullezza Marina si distinse per la bontà d’animo e le sue doti di carità. Ella fu educata amorevolmente dalla madre all’osservanza degli insegnamenti della religione cristiana e a dipingere le sante icone. Giunta in età da marito, la fanciulla antepose alle attrattive della vita nuziale il desiderio di dedicarsi totalmente a Dio e visse per quattro anni in meditazione e preghiera. Più tardi dopo aver deciso definitivamente di dedicarsi alla consacrazione, chiese e ottenne, la vestizione e la tonsura da parte di un monaco, accettando da quel momento di lasciare la vita secolare ed assumere il nome di Marina, che manterrà per tutta la sua breve ma intensa esistenza. Per alcuni anni la sua vita trascorse nella preghiera, ricevendo dalla Divina Provvidenza il dono di concedere guarigioni con l’invocazione alla Santissima Trinità. Intanto maturava in lei il desiderio della missione, incoraggiata oltretutto dalla tradizione di quel tempo di attuare pellegrinaggi in Terra Santa, decise quindi di travestirsi da monaco per timori di cattivi incontri e mutando il nome in Marino, si imbarcò su una nave diretta a  di Gerusalemme. In Terra Santa presso un monastero, visse sotto le mentite spoglie di monaco per tre anni. Ritornò a Scanio e venendo a sapere che i suoi genitori erano trapassati, ripartì di nuovo alla volta del suo monastero, dove vi rimase per altri cinque anni. Marina fece ritorno definitivamente nella sua natia Scanio dove continuò da romita, la vita contemplativa e il servizio a Dio per circa sei mesi, dispensando a tutti carità, conforto e compiendo miracoli. Rese la vita al Signore nell’anno 1066 all’età di trent’anni. Le sue spoglie furono seppellite nel piccolo borgo di Scanio nel Tempio della SS. Vergine. Alcuni anni dopo per volontà della stessa Marina che apparve in sogno ad uno dei suoi devoti fedeli, fu costruito e dedicato alla Santa un Oratorio nel quale furono traslate le sue spoglie.
                                                                                     
                                                                                                                                    Giuseppe Longo

Santa Marina di Scanio una patria controversa

Gandolfo Ferrara, veduta del  Bragone inferiore nei dintorni di Termini, dal Sud al Nord (1822, incisione su rame, Museo Civico di Termini Imerese)
http://archivio.madonielive.com/news/show/10091



 

Santa Marina di Scanio una patria controversa

La chiesetta agreste di Santa Marina “La Vecchia” a Termini Imerese, esisteva ancora già sul finire del XIV sec. Le fonti non ci forniscono esaustive informazioni circa la sua individuazione. Sulla biografia sul culto della  Santa Marina Vergine di Scanio esiste soltanto un codice manoscritto, trecentesco redatto attorno al primo decennio da un ignoto monaco di nome Daniele del Monastero di SS. Salvatore dell’Ordine basiliano in Messina, che per primo raccolse e trascrisse i vari racconti orali relativi alla Vergine di Scanio. Il codice in seguito, venne scoperto, tradotto in latino dal gesuita Padre Ottavio Gaetani (1566-1620). Il Gaetani, fu l’iniziatore degli studi di agiografia in Sicilia e compose la sua monumentale opera  “Vitae Sanctorum Siculorum”, pubblicata postuma nel 1657. Poco pù di trecento anni dopo, nel 1959 il filologo Giuseppe Rossi Taibbi pubblicò per la prima volta una edizione del codice greco corredata da note critiche e da una esaustiva introduzione. L’edizione di Rossi Taibbi permette di leggere il testo greco con a fronte la versione italiana e reca anche una biografia di Santa Lucia presente nel codice trecentesco (cfr. G. Rossi Taibbi, “Martirio di santa Lucia – Vita di santa Marina”, Istituto siciliano di Studi bizantini e neogreci, Palermo 1959). Il culto di una Santa siciliana di nome Marina nata in un oscuro borgo di nome Scanio è documentato nella Sicilia orientale a Castell’Umberto, l’antica Castania ed oggi Comune in provincia di Messina. Non deve meravigliare la diffusione di questo culto nell’antica Val Demone, l’area in cui per tutto il medioevo si conservò il retaggio culturale e linguistico della grecità bizantina. Nella Sicilia occidentale, è nota un’altra area di diffusione del culto di Santa Marina siciliana  e nello specifico a Termini Imerese, oggi comune nella provincia di Palermo. Si tramanda a Castell’Umberto che l’antico casale di Santa Marina corrisponda al sito dell’antico borgo di Scanio. Lo storico siciliano Tommaso Fazello ordopraedicatorum (1498-1570) nella sua “De Rebus Siculis Decades Duae” (Panormi 1558), colloca la nascita del borgo di Castania nel 1322, con l’annessione dei Casali di Randacoli, Rasipullo e Santa Marina, auspici, la nobile famiglia Taranto. Il termine casale indicava nel Medioevo dei borghi o abitati aperti non cinti da mura. Il casale di Santa Marina, “forse l’antica Scanio” per volontà di re Ruggero, fu sede di un cenobio dell’ordine basiliano intitolato a Maria SS. Vergine di Mallimaco. A proposito di questo cenobio oramai rudere, lo storiografo Francesco Nicotra così riporta in “Dizionario Illustrato dei Comuni Siciliani” (Palermo 1908) : «Santa Marina vergine. Nacque nel castel­letto chiamato Scanio, della ricca ed illustre famiglia Pandarita. Toccata dalla pietà dei monaci basiliani, volle anche lei vestire l’abito del patriarca San Basilio; ed alla sua morte, dietro le peregrinazioni e le vicende di una santa vita, fu seppellita nella chiesa del monastero di Santa Maria di Mallimaco. Il di lei corpo fu poi traslato a Catania, per ordine dell’infante Martino, che con due diplomi ne ordinò la traslazio­ne nel 1392. In onore di questa santa il casale Scanio venne detto Santa Marina». A Termini Imerese, invece, persiste la tradizione che il casale di Scanio sia sorto sulla sponda sinistra del fiume San Leonardo nella contrada oggi detta Santa Marina e anticamente chiamata Cozzo di Scanio. Alla Santa sono state dedicate nel corso dei secoli tre chiesette campestri, chiamate rispettivamente: Santa Marina La Vecchia, Santa Marina La Nuova e l’attuale Santa Marina La Novissima (termine quest’ultimo coniato dallo scrivente qui per la prima volta) in un arco di tempo compreso tra il XVI e il XIX secolo.

                                                                                                                                    Giuseppe Longo

La chiesa di Santa Marina "La Novissima"

La chiesa di Santa Marina "La Novissima"
http://archivio.madonielive.com/news/show/10058


La chiesa di Santa Marina “La Novissima”
La chiesetta Settecentesca di Santa Marina (la Novissima) sorge sul Cozzo Patara, a una novantina di metri sul livello del mare e a circa cinque chilometri dalla cittadina di Termini Imerese. La costruzione dell’ameno edificio sacro fu fortemente desiderato dai fedeli termitani che ne vollero onorare e tramandare il culto della Verginella Marina, Santa e Compatrona della Città. L’edificio religioso di Santa Marina “La Novissima” si erge sulla montagnola denominata “Cozzo Patara” detto anche nella parlata locale “Cozzo di Scaniu”. La piccola costruzione ad aula unica e dal prospetto semplice si trova non molto distante dalla chiesetta quasi rudere di Santa Marina “La Nuova” situata in contrada Bragone.  La chiesetta di Santa Marina prospettante sul tratto terminale del fiume San Leonardo, fu costruita nella prima metà XVIII sec. per volontà di alcuni ferventi fedeli alla Santa, dopo le infruttuose e ripetute ricerche del suo corpo, compiute agli inizi del Settecento nella contrada Bragone. Lo storico termitano Baldassare Romano (1794-1857)  nel suo opuscolo “Vita di Santa Marina Vergine Siciliana”, edito nel 1842, ci riporta in dettaglio quanto detto precedentemente: “…Dopo secoli che il popolo si adunava nella prima di essa [chiesa N.d. r.], nel 1750 sperando di trovare le sacre ossa nel colle detto di Scanio, segnatamente in mezzo alle vestigia d’alcuni rovinati edifizi che ancor si vedeano, fu chiesto al Vicario capitolare della diocesi il permesso di farne ricerca. Il quale prescrisse che con un digiuno di tre giorni ed una solenne processione di penitenza si disponessero i cuori dei cittadini a divoti affetti, e si mettesse indi mano al lavoro. Tutto eseguito con religioso raccoglimento, scavata la terra, frugate le antiche fabriche per più giorni, non furon le desiate reliquie rinvenute. Ciò non ostante non intepidirono i Terminesi verso la santa Verginella Marina; che anzi vollero l’anno stesso in quel sito elevato, amenissimo, ergere la chiesuola che già accennammo: il sacerdote Giuseppe Lanza padrone del suolo donò uno spazietto all’intorno per comodo de’ concorrenti e la dotò d’un piccolo benefizio…” La donazione della porzione di terreno quindi permise l’edificazione dell’attuale luogo di culto. Il lascito venne stipulato con atto pubblico dal Notaio di Termini Imerese Leonardo Mola il 15 febbraio 1731, di tale atto notarile ce ne dà complete notizie il Notaio Ignazio Candioto (1890-1956) nel suo libro “Civitas Splendidissima”, 1940, nel cap. XLVIII e nel (Doc. N. 34) ”… La bontà divina, scrive il Notaro nell’introduzione all’atto, si compiacque per mezzo di visioni avute da vari cittadini, di indicare il luogo dov’era sepolto il corpo di Santa Marina, ritenuta sempre cittadina di Termini, e cioè il Cozzo di Scanio nella contrada Bragone, e precisamente sotto le macerie di un palmento dove si notano vestigia di antiche fabbriche. I Giurati di allora, come quelli che avevano giurisdizione su detto territorio, e l’Arciprete pro tempore della Città, diligentemente esaminate le visioni, decretarono di informare il Vicario Generale della Diocesi, il quale a sua volta, esaminati i fatti presentati, ordinò ai cittadini un severo digiuno di tre giorni ed una processione di penitenza da effettuarsi nella domenica successiva, all’oggetto di disporre gli animi dei cittadini alla devozione e perché Nostro Signore si degnasse permettere il rinvenimento del corpo della Santa. Il digiuno venne eseguito nei giorni 12-13 e 14 ottobre 1730, la processione il giorni dopo, la domenica 15. Con alla testa l’Arciprete, i Giurati e persone devote, tutto il popolo, il 17 successivo, si recò sul luogo designato e per quel giorno e nei giorni seguenti si procedette agli scavi della terra e delle macerie. La bontà Divina non permise di far trovare il corpo ricercato: ciò nonostante i cittadini continuarono e continuano le ricerche del corpo. Dopo le ricerche collettive infruttuose e mentre queste continuavano isolatamente, persone devote vollero costruire una Chiesa ed un Altare dedicata alla Santa, sul Colle di Scanio. Ed il Sacerdote Don Giuseppe Lanza, proprietario del terreno dov’era stata già edificata la Chiesa, ne donò « tre tumoli attorno di detta Chiesa per uso e comodità delle persone che affluivano alla Chiesa » ed assegnò al Beneficiale di detta Chiesa tarì 6 l’anno, da pagarsi sul restante fondo di sua proprietà. Don Nicolò Marsala e Lanza, domino diretto del fondo, acconsentì, avocando però a sé il diritto di nomina del beneficiale o del Cappellano. Il primo beneficiale fu il Sac. Giuseppe Lanza…” Successivamente, a infervorare gli animi dei devoti termitani nei confronti della Santa fu la sua intercessione, mentre infuriava a Termini Imerese l’epidemia di colera che falcidiò nel 1837 buona parte della popolazione. Le invocazioni e le preghiere verso la Santa permisero di arrestare la terribile sventura. In tale circostanza il popolo termitano per esprimere gratitudine verso la Verginella per lo scampato pericolo, volle fare dono al Convento delle Clarisse in Termini Imerese di un ex voto raffigurante Santa Marina, oggi tale dono votivo trovasi nel Santuario della Madonna della Consolazione.  La prima domenica di Settembre di ogni anno, la chiesetta campestre di Santa Marina “La Novissima” è solennemente parata a festa e il luogo tanto caro ai devoti si trasforma in un decoroso tripudio per la collettività.  L’evento è preceduto dalla solenne processione dei due simulacri: Santa Marina e San Paolino vescovo di Nola, quest’ultimo, protettore dei Giardinieri. Nell’amenità del poggio i fedeli con le loro preghiere, invocano i due Santi affinché benedicano la Città e la verdeggiante e fertile valle del San Leonardo.
Giuseppe Longo

venerdì 11 luglio 2014

Una mostra per ricordare Gigi Magni

Gigi Magni, disegni, "La befana"
 
 
 
Gigi Magni "Disegno in Sicilia"
 
 
 
 
Gigi Magni "Disegno in Africa"
 
 
 
Gigi Magni, disegni, "Giocatori di carte"
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 Gigi Magni ed Elena Sofia Ricci
 
 
Gigi Magni e Lucia Mirisola sul set "In nome del popolo sovrano"
 
 
 
 
Franco Nero e Gigi Magni sul set "Il Generale"
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Gigi Magni sul set "Nemici d'infanzia
http://www.cefalunews.net/2014/?id=39931




Gigi Magni sul set "Nemici d'infanzia
 
 
Giancarlo Giannini e Ornella Muti sul set “'O Re”, Foto Magni
Alberto Sordi e Serena Grandi sul set “In Nome del Popolo Sovrano”, Foto Magni
 
Ugo Tognazzi, Gigi Magni e Carlo Bagno sul set "Arrivano i bersaglieri"
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Gigi Magni
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Gigi Magni disegni, "Re di Roma"
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giovedì 3 luglio 2014

Signore & signori... Alberto Lionello


 
Ritratto di Alberto Lionello nei primi anni Novanta (foto © Luca Lionello)
Alberto Lionello ritratto dietro le quinte da Tommaso Le Pera
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Alberto Lionello in un’immagine dei primi anni Sessanta
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Alberto Lionello e Carla Gravina in Giochi di notte, 1975-76 (foto © Pietro Pascuttini)
 

venerdì 13 giugno 2014

Settanta anni fa veniva lanciata la prima V1 in Gran Bretagna: intervista a Silvano Mantione

La rampa di lancio delle V-1da Wikipedia
 
 

Settanta anni fa veniva lanciata la prima V1 in Gran Bretagna

 
Il 13 giugno di Settanta anni fa veniva lanciata la prima bomba volante contro la Gran Bretagna. L’impiego di questa “arma segreta” chiamata Fieseler Fi 103, comunemente nota col nome “V1”, fu la risposta tedesca contro i raid Alleati sulle città germaniche. In realtà, il Terzo Reich, attraverso le armi di rappresaglia, le cosiddette Vergeltungswaffen (V): V-1, V-2 e V-3 (quest’ultima non entrata mai in attività) la Germania nazionalsocialista, tentò di risollevarsi da una guerra ormai seriamente compromessa. Chiediamo all’ingegner Silvano Mantione* studioso di Storia e Strategia Militare, di parlarci di quest’ordigno e del suo impiego strategico
 
Il 13 giugno del 1944 fu utilizzata per la prima volta un’arma speciale per colpire l’Inghilterra, la tristemente famosa V1, Ingegner Mantione, cosa accadde quel giorno?
 
Alle 3.30, dalle rampe situate sulla costa della Manica, i tedeschi lanciarono verso Londra dieci V1 note anche come le “bombe volanti”. Delle dieci V1 lanciate in quell’occasione, solo quattro raggiunsero il suolo inglese e di queste, una solamente cadde su Londra uccidendo otto persone.

Cosa era una V1? Come nacque l’idea per il progetto della bomba volante?

La V1, la sigla sta per Vergeltungswaffen 1, tradotto dal tedesco “Arma di rappresaglia 1”, fu così ribattezzata da Joseph Goebbels a fini di propaganda, univa le caratteristiche di un aereo a quelle di una bomba e si può considerare il primo esempio di missile da crociera. Il nome originale della V1 era Fieseler Fi 103 e nacque come progetto di un bersaglio per artiglieria contraerea. Cioè un mezzo senza pilota per addestramento e sperimentazione.
 
E da chi fu progettata?

I primi studi nacquero nell’autunno del 1936, e furono condotti dall’ingegner Fritz Gosslau della tedesca Gerhard-Fieseler-Werke. Gosslau lavorava su piccoli veicoli da ricognizione a guida remotizzata. Il 9 novembre 1939 l'azienda inviò al Reichsluftfahrtministerium RLM, (il Ministero all'epoca responsabile dell'aviazione civile e militare della Germania), un progetto di massima per la realizzazione di un velivolo a controllo remoto. Il progetto divenne poi quello di una bomba volante, lufttorpedo (siluro volante) ma RLM in un primo momento non approvò e solo dopo varie vicissitudini, finalmente il 5 giugno del 1942 il progetto fu approvato con la designazione ufficiale Fi 103 e assegnato alla Fieseler.

Quali erano le dimensioni dell’ordigno? E quale era la sua velocità e gittata?

La nuova arma, realizzata nella base di Peenemünde fu molto simile a un piccolo aereo, era lunga 8 metri e presentava un’apertura alare di 5 metri per un peso complessivo di 2 t, compresi gli 800 kg circa di esplosivo. La V1 volava a circa 1.000 metri di altezza a una velocità massima di circa 600 km/h. e aveva un’autonomia di 250 km.
 
Oltre alle indicazioni sopracitate può aggiungere qualche altra descrizione dell’ordigno per dare ai lettori un’esauriente informazione tecnica della V1?

La propulsione era fornita da un pulsoreattore. Questo tipo di motore aeronautico, non poteva essere impiegato validamente per aerei da guerra pilotati, in quanto difficile da avviare, inefficiente al di sopra dei 3000 metri, di scarsa durata e praticamente non in grado di cambiare velocità. Tutte queste caratteristiche si adattarono bene per l’utilizzo su un missile da crociera, cioè una con una bomba volante, che poteva invece trarre vantaggio dalla grande semplicità costruttiva di questo tipo di motore. Un recipiente ad aria compressa forniva durante il volo l’energia per il mantenimento dei giroscopi in funzione e per il governo degli alettoni, un sistema di controllo elettromeccanico all’avanguardia per l’epoca, e garantiva il mantenimento della rotta e dell’assetto di volo.

Furono costruite delle varianti di V1?

Sì, in particolare furono costruiti dei modelli con pilota da utilizzare in missioni suicide. Il progetto poi fu abbandonato su esplicita volontà di Hitler, che avversava l’idea delle missioni suicide.

Cosa conteneva l’ogiva di una V1? Inoltre questa bomba era in grado accogliere al suo interno anche un’arma non convenzionale?

Le V1 portavano 800 kg di Amatol-39, un esplosivo ad alto potenziale a base di tritolo. I tedeschi valutarono anche la possibilità di usare la V1 come vettore per i gas nervini, di cui ebbero monopolio assoluto durante tutto il conflitto. Tuttavia, non si andò mai oltre la fase di studio, probabilmente perché un attacco con gas nervino, era più efficace se condotto con tante piccole cariche sparse sul territorio, piuttosto che con una grossa concentrata.

E perché fu utilizzata proprio la V1 per colpire il Regno Unito? Si trattò di una specifica strategia?

Il 13 giugno a una settimana dagli sbarchi alleati in Normandia, la Germania lanciò la sua “rappresaglia” contro la popolazione inglese. Lo scopo era di condurre attacchi terroristici contro la popolazione di Londra a scopi di propaganda e vendetta, a causa dei bombardamenti subiti dalle città tedesche. Londra era il principale obiettivo raggiungibile dalle V1, che insieme alle V2 i missili balistici sviluppati da Vom Broun, rappresentarono l’unico modo in quella fase della guerra per colpire la popolazione del nemico.

Quale forza armata era incaricata nella gestione delle V1?

La Luftwaffe accolse con favore la nuova arma. Herman Goering, il discusso comandante dell’aviazione militare tedesca durante il conflitto aveva richiesto la produzione di 50.000 V1 al mese per i lanci su Londra.

Come veniva  lanciato l’ordigno e cosa conteneva la camera di scoppio?

Le V1 erano lanciate da rampe inclinate facenti parte di un complesso articolato di edifici e bunker, organizzate in basi, poste nel nord della Francia tra Dieppe e Calais. Oppure, era lanciata in volo da bimotori Heinkel He-111, opportunamente modificati. La V1 portava 800Kg di esplosivo ad alto potenziale.

Che impatto ebbero le bombe sulla popolazione londinese?

I tedeschi produssero più di 30.000 esemplari di V1, complessivamente l'Inghilterra fu raggiunta da circa 10 000 ordigni di questo tipo, in particolare Londra fu colpita 2419 volte, con l'uccisione di 6.184 persone. Dal settembre 1944, comunque, la minaccia della V1 per l'Inghilterra fu temporaneamente interrotta, a causa della perdita (cattura o distruzione) delle installazioni costiere francesi da cui erano effettuati i lanci. I lanci verso l’Inghilterra comunque non terminarono, ma proseguirono a ritmo inferiore, attraverso l’utilizzo di aerei appositamente modificati per sganciare le V1 in quota. L'ultima V1 cadde in Inghilterra il 29 marzo 1945, si trattò dell'ultima azione nemica sul suolo inglese della Seconda Guerra Mondiale. L'effetto iniziale tra la popolazione fu piuttosto grande, perché la nuova arma non somigliava a niente che si fosse visto fino a quel momento, nonostante la vigorosa reazione inglese abbia limitato gli effetti materiali; mentre gli esiti psicologici sulla popolazione, stremata da cinque anni di guerra, furono marcati. Nell’estate del 1944 Londra fu non ufficialmente evacuata, più di 360.000 donne e bambini abbandonarono la città. I londinesi battezzarono queste bombe "Buzz bombs" (bombe ronzanti) a causa del ronzio caratteristico prodotto dal pulsoreattore. Un suono sinistro che inevitabilmente precedeva il boato del terribile scoppio. Gli inglesi pagarono un prezzo elevato a questa nuova arma che alla fine fece migliaia di morti, non solo in Inghilterra.

Oltre al Regno Unito, in quale altro fronte fu impiegato questa micidiale bomba?

Dopo che i tedeschi persero le basi di lancio poste sulla costa della Manica (da lì partivano le bombe per colpire l’Inghilterra), la V1 fu utilizzata principalmente per attaccare obiettivi strategici situati in Belgio, soprattutto il porto di Anversa. Tra l'ottobre 1944 e il marzo 1945, il Paese fu colpito complessivamente da 2448 ordigni. 
 
Quale fu la reazione inglese per contrastare le V1?

La difesa inglese contro le V1 tedesche venne chiamata “Operazione Crossbow”. L’operazione prevedeva il contrasto delle V1 in ogni fase: dalla costruzione, con il bombardamento delle fabbriche, al lancio, con il bombardamento delle rampe e delle basi di lancio, al volo, con l’istituzione di barriere antiaeree lungo le rotte di avvicinamento, sbarramenti con palloni e intercettazione attiva con i caccia. Durante l’operazione Crossbow gli alleati lanciarono più di 122.000 t di bombe in operazioni per il contrasto delle V1, uno sforzo che da solo testimonia la preoccupazione e l’urgenza degli alleati di neutralizzare questa nuova minaccia. I cannonieri antiaerei scoprirono ben presto che questi obiettivi, piccoli e veloci erano, estremamente difficili da colpire. L'altitudine di crociera della V-1 (tra 600 e 900 metri), era di poco superiore alla portata effettiva dei cannoni antiaerei leggeri, e appena sotto l'altezza ottimale d’ingaggio della contraerea pesante. Anche l’intercettazione era piuttosto difficile visto l’alta velocità delle V1 e il tempo ridottissimo per abbatterle prima che arrivassero a destinazione.

Oltre alla costruzione delle V1, parallelamente fu portato avanti un altro progetto di arma da rappresaglia, chiamata “V2”, perché s’intraprese questo studio? Lei pensa che la V1 si dimostrò inefficace contro gli obiettivi prefissati?

Le V2 furono la seconda arma di rappresaglia usata dai tedeschi contro città alleate. Al pari della V1 si trattava di un veicolo senza pilota capace di portare a 340 km di distanza una testata contenente 800 kg di esplosivo ad alto potenziale. Ma non fu alternativa alle V1, infatti, il suo costo era nettamente superiore e i tedeschi dopo uno studio approfondito decisero di utilizzare entrambe le armi: le economiche ma inefficaci V1 (solo una su cinque raggiungevano l’obiettivo) e le costosissime ma non intercettabili V2. Tuttavia le V1 e le V2 si possono considerare un grande successo dell’industria tedesca, ma un completo fallimento militare poiché i danni arrecati sono stati solo una frazione del costo sostenuto dalla Germania per il loro sviluppo e impiego operativo.

La V2 quando ebbe il suo battesimo del fuoco?

Il primo lancio fu diretto su Londra nel settembre del 1944, e proseguirono fino alla fine di marzo 1945. Anche altre città furono prese di mira, tra cui Anversa.

Sostanzialmente quale fu la differenza tecnica dei due ordigni?

Se le V1 furono il primo esempio operativo di missile da crociera, le V2 furono il primo esempio di missile balistico. Si trattava, infatti, di un missile a combustione interna che raggiungeva gli 80 km di altezza prima di abbattersi sull’obiettivo a una velocità superiore ai 5000 km/h. Fu un’arma sicuramente rivoluzionaria per l’epoca che richiese uno straordinario impegno tecnologico, scientifico e industriale per essere utilizzata efficacemente.
 
In questo conflitto, per la prima volta i morti tra i civili superarono di gran lunga le vittime tra i soldati. Cosa ha da dirci in proposito?

Nella Seconda Guerra Mondiale, purtroppo per la prima volta le nazioni hanno usato tutto il loro potenziale tecnologico e scientifico per produrre armi specificatamente studiate per colpire i civili. Per la prima volta, colpire le città del nemico, diventava un obiettivo militare ritenuto strategico per vincere la guerra, a prescindere dalle installazioni militari e produttive in esse presenti. Il fatto che i tedeschi avessero chiamato “arma da rappresaglia” le bombe volanti è significativo; quest’attitudine, che fu presente in tutte le potenze belligeranti, ha avuto il suo culmine nel progetto Manhattan e nel primo bombardamento atomico della storia.

Silvano Mantione è nato a Torino nel 1972, laureatosi in Ingegneria presso la Facoltà di Palermo, lavora presso Telecom Italia. E’ uno studioso di Storia e Strategia militare, in particolare del secondo conflitto mondiale e del periodo napoleonico.
                                                                                                                                            Giuseppe Longo
 
 Il V-1 in esposizione al Musée de l'Armée. di Parigi
 
 
Riproduzione grafica di una V1 in volo da Wikipedia
http://www.trinacrianews24.it/2014/06/13/settanta-anni-fa-veniva-lanciata-prima-v1-in-gran-bretagna-intervista-silvano-mantione/
 
Buzz-bomb
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Catena di montaggio per la produzione delle V1 (Bundesarchiv Bild)
http://www.trinacrianews24.it/2014/06/13/settanta-anni-fa-veniva-lanciata-prima-v1-in-gran-bretagna-intervista-silvano-mantione/


V1 (Bundesarchiv Bild)
http://www.trinacrianews24.it/2014/06/13/settanta-anni-fa-veniva-lanciata-prima-v1-in-gran-bretagna-intervista-silvano-mantione/